03 Mar 19

Centro storico ostaggio della nostalgia

Alla fine ha ragione la mia vicina Laura, bisognava semplicemente trattare il centro per quello che è, una città, e favorire da subito tutte le componenti di una città in modo armonico: residenti, commercio, uffici, scuole ecc.
Non è così che sta andando, in realtà non sappiamo esattamente come e dove si sta andando ed è la cosa che pesa di più.
Non bisogna neanche vedere tutto nero cavalcando questa o quella brutta notizia, ma è chiaro che ci sono dei problemi e se ne parla con insistenza a causa della chiusura di alcune attività che avevano aperto in centro, e in generale dell’inerzia con cui riprendono le attività nella parte antica della città. Che qualcosa non andava era già stato fatto presente da molti ma gli scroscianti applausi in occasione di questo o quel mega evento, di una carrozza illuminata o di una passeggiata in centro di qualche centinaio di persone, numeri domenicali da piccolo borgo, sommergono ogni voce critica e probabilmente lo faranno di nuovo, non so se sono peggiori gli urlatori de L’Aquila è rinataaa!, Il mio lavoro è sotto gli occhi di tuttiii! o quelli de L’Aquila è morta!, che poi in parte sono le stesse persone a seconda di come si svegliano.
Comunque, stamattina sono stato a scuola con Kiki, sì a scuola, quella, una delle tante, abbandonata su viale Giovanni XXIII, è lì che le persone, da San Pietro, dalla Banca d’Italia, dall’Addolorata, portano il cane.
Le città funzionano così, le persone si appropriano degli spazi che trovano nei modi possibili, finché non arriva qualche architetto o un urbanista a riqualificarli senza scambiare mezza parola con chi ci vive. Il centro in generale è vittima innanzitutto di questa bulimia intellettuale. Immaginate dove vivete adesso, io sono cresciuto a Pettino, ma che ne so, immaginate di abitare a Monticchio e all’improvviso 60mila persone, centinaia di politici, imprese, associazioni, intellettuali cominciano a parlare del posto in cui vivete, in cui passate gran parte della giornata, di quello che è giusto o sbagliato. Chi la vuole cotta, chi la vuole cruda, tutti con la soluzione in mano.
Vi sentireste violati, come foste delle comparse su un set, direte cazzo ma no, ma non è così io sto qua tutti i giorni. Ora per carità, il centro storico è diverso, è di tutti, e io ne sono ben contento.
Ma il punto è che così, semplicemente non è di nessuno.
Bisogna stabilire delle regole di ingaggio per far riconquistare il centro storico. La prima domanda a cui bisogna rispondere è perché? Mi sembra che il più delle volte ce lo diciamo, io no, tanto per dirlo, per lamentarsi di qualcosa, per cercarsi un alibi ma la domanda è seria.
A che serve il centro storico? Prima ci si viveva, ci si lavorava, ci si andava a scuola e così via, altro che centro commerciale naturale. Ma diciamoci la verità, il terremoto ha solo accelerato un fenomeno che era già in corso da anni. E’ la storia di ogni nostra famiglia, dal paese, al centro, alla periferia. Perché è così che viviamo ovunque oggi, in periferia, perché gli appartamenti sono più grandi, più comodi e funzionali, perché abbiamo il parcheggio, il giardino, perché con la macchina raggiungiamo facilmente i luoghi di lavoro o di studio o del tempo libero. E’ la nostra contemporaneità, è un dato di fatto, non serve dare giudizi sulle scelte delle persone ma è un dato di fatto. Il terremoto non c’entra nulla, io prima del sisma ero andato a vivere nei dintorni di piazza San Pietro e delle persone che erano cresciute lì ho sentito parlare solo sui social network, erano già andati via, i negozi avevano abbassato le saracinesche e solo il boom della presenza universitaria stava facendo ripartire lentamente un nuovo reinsediamento di attività.
Allora di che parliamo? Quanti sono disposti a venire a vivere in centro? Quanti vogliono tornare a lavorare in centro? Con le file, ve le ricordate sì, per il parcheggio, con lo smog che appestava via Sallustio e gli imbottigliamenti ai Quattro Cantoni, le sudate per andare da un ufficio ad un altro quando ormai si viveva altrove. Non si possono fare le nozze con i fichi secchi, non si può pretendere di avere le vetrine in centro per quando si viene, un giorno d’inverno, qualche sera d’estate o qualche domenica mattina a fare la passeggiata. E tra me e me penso anche, meglio così, perché L’Aquila com’era, era piena di problemi, tra negozi che chiudevano, uffici poco funzionali, gente che andava ad abitare in periferia, palazzi senza manutenzione perché non ci risiedeva più nessuno e turisti che scendevano dall’autobus e ci risalivano un minuto dopo, perché venivano investiti da qualche macchina o avvicinati da qualche cane randagio. Il centro storico oggi però ha un grande potenzialità, è curioso che ce l’abbia soprattutto quando non ci siamo noi aquilani. Quei sabati e domeniche più caldi in cui ce ne andiamo al mare, qui è pieno di turisti, di viaggiatori che scoprono che all’Aquila, cazzo, si sta bene. Se venissero oggi, con centinaia di macchine parcheggiate alla rinfusa su via Sallustio, non la troverebbero così comoda, o in un giorno feriale con le macchine che transitano lungo il corso, anche quello stretto, non la troverebbero così accogliente. Quando ci sono i megaeventi fini a se stessi, personalmente mi sono capitati turisti che mi hanno detto che erano stati in centro ma era troppo un casino e se potevo consigliargli una meta più tranquilla per la serata successiva.
Ecco, sono questi i segnali che chi magari è qui tutti giorni, può raccogliere più facilmente, perché in centro, comunque, un po’ di gente ci vive, e non sono i borghesi come viene appellato in modo denigratorio chiunque ci viva. Sono persone normalissime, ci sono anche tanti giovani, trentenni aquilani a cui non dispiace fare 50 metri a piedi per arrivare alla macchina.
E questa dovrebbe essere la seconda regola d’ingaggio. Il centro è di tutti ok, ma chi ci vive ha bisogno non di incentivi ma di un’infrastrutturazione minima, non servono 99 scuole ma una magari sì. Non hanno bisogno di avere la spazzatrice ogni mattina alle otto, ma un minimo di cura la merita anche la città fuori l’asse centrale perché la Villa è bellissima e pulita ma anche a Viale Duca degli Abruzzi, dove c’è l’Università, si possono togliere le foglie ed evitare che diventino una melma impraticabile.
Se si vede un cartello divieto di accesso, magari non buttarcisi dentro a 100 chilometri orari può essere utile. Chi vive in centro aiuta il commercio nei giorni vuoti, stimola altri a venire, fa sentire i turisti in un posto vissuto e non in uno finto e garantisce che il centro non diventi una bomboniera per i borghesi veri. Nel frattempo, razionalmente, si può riportare alcuni uffici in centro, il resto verrà da sé. Alcune zone del centro, con tutti i piani terra a disposizione, possono diventare luoghi per sperimentare l’insediamento di un nuovo artigianato, dell’associazionismo, magari con pavimentazione o arredi urbani moderni e che segnalino l’esistenza di una zona in cui si fa artigianato, o cultura o musica dal vivo, ma serve la progettualità delle istituzioni.
Se si aiuta a far rivivere i nostri Quarti e i loro locali, dove la nostra città è nata, il corso, il centro commerciale naturale, sarà una logica conseguenza. Se la nostalgia dei più segnerà anche la ricostruzione socio economica il centro sarà quello che è da anni in molte altre città, un luogo semideserto per fare la passeggiata ogni tanto.

 

*di Alessio Ludovici