28 Set 18

Ciao Peppe, grande amico e maestro

Un grande maestro di quelli tosti, che intimoriscono, che ti guardava da sopra gli occhiali sul naso, seduto alla sua scrivania ad angolo e circondato da pile di giornali a spiegarti sempre, che potevi fare di più, che la notizia che avevi portato non era un granché, salvo sciogliersi in una battuta se ci rimanevi troppo male.

Aveva insegnato, era stato direttore dell’Accademia di Belle Arti, aveva insegnato nelle scuole, conosceva i ragazzi, avrebbe voluto più coraggio e capacità nei tanti giovani passati in redazione, una possibilità la dava a tutti, storica resterà quella della buttata elettorale, un pezzo di una ragazza che trasformò una boutade elettorale, sentita in conferenza stampa, nella buttata elettorale, senza sapere cosa avesse scritto. Da allora, per almeno due mesi, il tormentone della buttata elettorale a manetta perché con Peppe si cazzeggiava, si cazzeggiava comunque.

Scriveva nei suoi pezzi, senza fare nomi ma solo cognomi, e così era, perché i cognomi li faceva, aveva coraggio e fegato da vendere, sempre contro l’aquilanità ipocrita e perbenista, non aveva alcun problema a sbeffeggiarla e a ridicolizzarla con la politica piccola che la rappresentava, aveva sempre preferito i poveri diavoli, perfino ladruncoli, e nella sua bottega, perché la redazione era per lui la bottega, c’era sempre posto.

Caro ex amico mio
era il saluto per chiunque, al telefono, la risata iniziale rompeva quindi ogni indugio, perché poi aggiungeva sempre, meglio ecs che ics, e giù con le risate a cascà. Alla bottega erano notizie, sempre la sera, il giorno si andava a caccia per gli uffici, per la strada, se non avevamo niente il ripiego era sempre  traffico e sanità, quacche cosa esce sempre, mi diceva. Prima di affrontare i grandi temi, pesare le grandi inchieste, confrontarci sugli articoli più tosti o superare una rabbia, c’era la pagnotta di pane fresco che andava a prendere con mortadella e pecorino, il coltello era sempre quello, si mangiava e poi ci pensavamo, chiunque c’era ‘na stozzetta se la doveva fare. E da lì chiacchierate fiume rotte dal suo, ecco se perde solo tempo oppure è bancarotta fraudolenta. Era finita la ricreazione, tutti a coccia bassa a scrivere.

Mi ha raccontato tanti episodi della sua vita, qualcuno sfiorava la leggenda, l’ho visto in cinquecento negli anni cinquanta, poi lancista, tra i primi, Lucio Battisti nei suoi studi d’artista, il periodo in Calabria all’Accademia di Belle Arti a Catanzaro e poi la pittura e le sue sculture, pochissimi sanno che quell’immensa scultura verticale fuori il Provveditorato ai Lavori Pubblici è sua e di altri artisti che con il 2% dei fondi dedicati all’arte, nella ricostruzione post bellica, si aggiudicarono il lavoro. Quel 2% per cui si è battuto anche nel post sisma, le sue battaglie senza sconti su una brutta ricostruzione, sull’urbanistica, il piano regolatore, Porta Barete, in solitudine, come tantissime altre volte senza mollare mai, il poco che so di urbanistica, di architetture, di palazzi aquilani, di storia, di cordoli, portoni, borghi, mura, arte della ricostruzione e restauri lo devo a lui, che ha saputo tradurmi cose per me inarrivabili.

Ogni angolo della città aveva un aneddoto, mi regalò libri su Pino Zac, del quale era amico, sui Ciarletta e mi raccontò la loro storia, aveva avuto studi d’arte ovunque e sempre bottega li chiamava. Era inarrivabile nelle sue intuizioni, sbeffeggiava la politica perché la stimava pochissimo, incontenibile nell’entusiasmo e nella voglia di fare, riaperto il suo studio a Malepasso avrebbe voluto ricominciare a lavorare le ceramiche, era anche ceramista, mi aprì un mondo nuovo  poco più di un anno fa, quando mi raccontò delle ceramiche dei grandi artisti. Avrebbe voluto realizzare decanter e bicchieri in cotto.

Quando non lavorava ad un quadro, approfondiva le pile di carte che studiava per le inchieste, i suoi quadri erano sempre da finire, appassionato di antiquariato girava per i mercatini, ancora oggi, a scovare materiali, stampe di valore che capiva solo lui e pergamene.

Nelle inchieste e negli articoli non aveva paura di niente ed ha sempre scritto la verità, a qualsiasi costo, Franco Marulli lanciava le rotative di notte, i suoi fotomontaggi, gli articoli che avevamo letto e riletto per uscire blindati dalle denunce, era tutto un programma, perché poi la consegna coraggiosa del giornalaccio, così gli piaceva dire, la faceva Franco la mattina dopo, a volte cacciato, rischiava per davvero le mazzate, per questo, altre volte, li lanciava e la consegna era fatta, Peppe e Franco si volevano un gran bene. ‘Mbe iamo a fa’ quacche cosa, era sempre la frase di chiusura quando era ora di lavorare.

Ha cercato di smuovere il pantano della cultura in questa città, fatta di istituzioni incancrenite, dei soliti noti mummificati a prendere fondi, lui, artista vero, credeva in una verve che L’Aquila, forse, non ha mai avuto. Ricordava sempre di quelle costosissime cravatte che il sindaco Biagio Tempesta gli fece recapitare a casa, al culmine dei suoi pezzi incredibili contro, che pure Tempesta mostrò sempre di apprezzare, gran signore qual è, lo stesso Biondi ieri, non senza ironia, ha voluto ricordare che sconti non ne ha fatti neanche a lui, ma si frequentavano. E non era affatto raro vedere quella stessa politica che lui amava sberleffare, chiedergli consiglio per una battaglia o una campagna elettorale, d’altra parte, lui, le “analisi” post elettorali anche di pochi minuti, le faceva con chiunque, tra i suoi amici, anche gli ultimi degli ultimi ai quali, Peppe Vespa, ha sempre dedicato un’attenzione speciale di cui non si è mai vantato.

Un grand’uomo, un gran signore come pochi, raffinato artista, autoironico, leggeva tantissimo, divorava giornali e quotidiani, libri e satira, amava la vita, amava il sorriso, le sue ultimissime battaglie contro una magistratura troppo poco attenta agli accadimenti del post sisma e troppo poco coraggiosa nelle tante inchieste mai aperte, con lui, sempre, Ferdinando Paone, grande avvocato, lo chiamava così, lo ha difeso una vita  dalle tante querele, parecchie intimidatorie, senza prendere un centesimo, ha difeso anche me e lo ha sempre fatto da gran signore qual è, con sua figlia ed il suo studio, sempre con il cuore, e so che Peppe gliene sarà sempre grato. A lui voglio affiancare Giorgio Spacca per l’affetto e le cure con cui ha accompagnato Peppe in questi mesi e la gentilezza con cui ha risposto sempre ai miei messaggi e alle telefonate continue per avere notizie.

Tra le tante persone che mi hanno scritto in privato e chiamato, tutta gente e colleghi che Peppe stimava, mi piace riportare una frase per tutte di Paolo Rico: Di Peppe, amico sincero e come me ruvido, ho apprezzato la voglia, sempre, di rimanere cronista.

Non so quanto riuscirò a far mio il suo mitico va tutto bene!, la frase che anche quando tutto andava male, andava bene ugualmente. Chi sa se farà il suo Editoriale contro, come mi aveva sempre detto, quando un giorno, avesse trovato in qualche al di là una cosa che non gli fosse andata bene.

Nel caso facci sapere Peppe, perché noi ti seguiremo sempre e vogliamo continuare ad avere notizie fresche. Ciao amico mio, mi mancherai tantissimo.