08 Mag 20

E’ socialpolitic, la visione è finita

Quindi la Fase due del covid-19. Gli italiani resistono nonostante la follia sui Navigli, ci credono, non mollano, gli aquilani pure, ma è un fiorire di annunci. Dal sindaco del comunello con quattro anime a Conte la politica è social, numeri, dati, abbiamo fatto, abbiamo detto, andiamo a gonfie vele, andiamo alla grande con info spot, da domani prospereremo al top, il nostro pil ambisce ai livelli tedeschi ce la facciamo, ce la possiamo fare, anzi no ce l’abbiamo già fatta. Nel senso social di un’abbuffata di post e dirette che fanno cool, dove visione e prospettiva sono uguali allo zero.

Dall’altro lato dello schermo c’è la cassa integrazione che non arriva e non arriva l’una tantum ai piccoli imprenditori. Il prestito bancario garantito dallo Stato, indebita chi è già indebitato e con quello stesso prestito si paga a debito un altro debito ma neanche quello arriva. I piccoli artigiani non ottengono i 25mila euro, il minimo garantito rispetto al fatturato. Le banche non aprono, temono il default, vogliono ulteriori garanzie. Quanti decreti hanno fatto da marzo? Uno, due, tre? Uno da 25miliardi, l’altro da 50miliardi dietro l’angolo, due o tre filoni di conferenze stampa social a manetta, ma dopo due mesi sui conti non c’è ancora nulla. E anche con l’Ue sarà debito. Chi incassa qualcosa teme che le banche succhino anche il centesimo, hanno già il fido e quindi altro debito, artigiani, professionisti, imprenditori  e piccoli esercenti non si fidano, preferiscono il cash, sono indebitati, quindi 100 200 euro li vogliono subito, quali banche, devono fare la spesa, pagare bollette e fitti arretrati, tutte le spese, e poi gel, mascherine, ambienti sanificati, attrezzi disinfettati e quindi ancora controlli e rischio sanzioni, la diffidenza della gente, e quel paio di ragazzi con quel contrattino da onorare perché nessuno li vuole mandare a casa.

Giuseppe Conte si scusa dei ritardi nei pagamenti, si scusa per la mancanza di liquidità, si scusa per l’eccessiva burocrazia e promette semplificazioni. Ma quando? Taglia carte, regole snelle e la gran ripartenza con i cantieri pubblici perché l’economia deve ricominciare a girare e quale modo migliore per farla girare se non con i grandi appalti. Soldi in cassa ce ne sono, soldi pronti pure ma tanti troppi sono i cantieri fermi, L’Aquila con il cratere 2009 ne è il triste emblema, scuole, chiese, proprietà di enti pubblici siamo fermi.

Il verbo sburocratizzare in questo Paese non ha mai significato nulla, perché accelerare i processi vuol dire togliere potere ai funzionari a quelli che lo decidono loro se una pratica va avanti, se si ferma, se si sbloccherà mai oppure se devi tornare in quell’ufficio a chiedere per la settecentesima volta quando arriverà la cassa integrazione, quando quel prestito, quando quella pratica urbanistica e quando arriverà il momento in cui per partecipare ad un appalto basteranno tre fogli tre, invece che pacchi e pacchi di carte e certificazioni, sempre le stesse, spese incredibili solo per partecipare e chi sa poi se vinci, perché tanto vincono i soliti, e quindi che partecipi a fare vabbè intanto ci provo. Ed è questa l’Italia che sta per ricominciare.