11 Ott 17

Lasciamo Santa Maria Paganica così

Il bello deve ancora venire perché quello che accadrà sugli altri palazzi, sulle altre proprietà pubbliche e sul come queste colloquieranno con il contesto preesistente non lo sapremo finché non si svelerà. E’ stato lasciato tutto nelle mani del privato, ed il pubblico diventa privato perché sceglie come crede anche ignorando il contesto storico architettonico e nessuno gli dice nulla. L’architetto Giovanni Cialone di Italia Nostra e del gruppo di lavoro che produsse uno studio con l’Itc-Cnr sugli edifici incongrui del centro storico, spiega che manca anche un Piano del colore, che la città rinasce sbiadita e che mancano nuove regole urbanistiche per il post sisma, perché il Piano di ricostruzione non le ha neanche immaginate, sono a rischio le frazioni, anch’esse martoriate nella loro storicità tra brutture e riqualificazioni tipiche delle speculazioni edilizie degli anni passati che potrebbero ora subire la scure della ricostruzione, con il colpo di grazia che abbatterà gli ultimi segni che ne facevano dei borghi affascinanti. La città si pronuncia dopo otto anni, invece di stimolare una discussione più aperta all’allora assessore Di Stefano che ignorò perfino il Consiglio comunale, e dopo appena otto anni si spertica nel dire cosa pensa degli innesti contemporanei sull’antico, se gli piacciono oppure no, perdendo però il filo, la storia della nostra città e le regole dell’architettura, perché solo se le conosci puoi abbattere e rifare strutture con scelte innovative adottate con criterio. Un dibattito serio dovrebbe interessare anche l’Auditorium di Renzo Piano, lì c’è la mano e si vede che la scelta non è ardita, e dovremmo vederci talmente all’avanguardia da poter perfino pensare di lasciare la chiesa di Santa Maria Paganica (nella foto com’era prima e dopo il sisma), per restare in tema, con i suoi resti vivi, senza ricostruzioni posticce che toglierebbero la vita vera a quelle rovine. Così come la cattedrale di Haiti o le rovine di Igreja do Carmo, entrambe distrutte dal terremoto e che una certa cultura avanguardista le ha lasciate con i segni della storia. Ed è a questo punto che dovremmo domandarci quanto siamo davvero innovatori. Ma probabilmente non lo saremo mai.