27 Giu 19

Su via Accursio, tornano le botteghe

Un’immagine è cara a tanti aquilani, a tutti quelli che hanno potuto conoscere la città prima del sisma, il sarto Mario seduto sulla sediolina davanti la sua bottega di via Accursio, simbolo di un tessuto artigianale diffuso che su via Accursio aveva avuto tanti protagonisti nel corso del tempo e che il terremoto sembrava aver cancellato per sempre.
Proprio nella bottega di fianco a quella di Mario, invece, è successo un altro piccolo miracolo, si chiama Stile Novecento ed è la bottega di un giovane aquilano, Diego Marchetti.
Diego restaura mobili e non solo, il legno è una sua grande passione insieme al calcio, gioca nella Sangregoriese in terza categoria e prima di appendere le scarpette al chiodo almeno un altro anno vorrebbe farlo.
La passione per il restauro, invece, gliel’ha trasmessa lo zio nella sua bottega dove da ragazzino andava ad armeggiare. Gli studi universitari non hanno sopito questa sua passione e Diego ha deciso di farne un lavoro, che innanzitutto ha messo a disposizione di chi sta rientrando nelle proprio case ha tante cose da sistemare. E’ voluto venire in centro infatti Diego, pagando un affitto con il quale probabilmente fuori città avrebbe preso un locale più grande ma, dice, non sarebbe stata la stessa cosa, non ci sarebbe la stessa atmosfera che c’è qui, con la gente che passeggia, si affaccia curiosando, i più coraggiosi chiedono, a volte a fermarsi sono i turisti. Quello tra L’Aquila e i suoi artigiani è un legame antico, difficile a morire, e a me piace pensare che è a causa di quello spirito di indipendenza e libertà che ha attraversato più volte le vicende cittadine e che ha visto spesso il mondo artigianale protagonista. Artigiani erano molti dei fondatori della nuova città, libera, artigiani quelli che ne hanno favorito il rapido sviluppo, artigiani erano quelli di cui narrava il cronista Buccio di Ranallo, che proprio su via Accursio ha la sua casa, come lo sarebbero stati secoli dopo i protagonisti di uno dei primi moti risorgimentali di origini mazziniana, duramente represso dai borboni. E artigiani sono stati i protoganisti delle principali vicende postunitarie. Ma vicende storiche a parte sembra proprio questa indole il filo conduttore che oggi fa degli artigiani i folli che riportano la vita dove nessuno oserebbe investire, nei vicoli, nelle piazzette dei Quarti storici, fuori dal circuito dei grandi eventi cittadini. Ma la cosa veramente bella è che lo fanno con piacere, senza lamentarsi o fare polemiche, senza retorica perché a loro piace stare lì dove stanno, perché magari non sono tipi di troppe parole ma se qualcuno li passa a trovare per loro è una soddisfazione grande, è l’anima stessa del loro essere artigiani e potrebbero tenervi a parlare per ore.
Se esistono degli indicatori dello stato di salute della nostra comunità la vitalità del mondo artigiano è sicuramente uno di quelli principali, ma ha bisogno di essere sostenuto. E’ un mestiere difficile, si compete con merci che arrivano da ogni parte del pianeta, con la cultura dell’usa e getta, quasi impossibile poi oggi mettersi qualcuno a bottega per tramandare il mestiere, difficile accedere a incentivi che hanno bisogno di dimensioni aziendali più importanti. Eppure il valore aggiunto che producono è tanto, trasformano dei palazzi restaurati in qualcosa di autentico, originale, rendono una città bella e attrattiva e producono posti di lavoro che certamente non rischiano di essere delocalizzati. Hanno bisogno di essere valorizzati, magari, immaginiamo chiacchierando, qualcosa si potrebbe fare già per la Perdonanza, una cartina come ci suggeriva Francesco a San Flaviano giorni fa oppure un itinerario che faccia scoprire ai più curiosi queste belle realtà.
Intanto però passate a trovarlo, ne vale la pena, è la ricostruzione sociale ma veramente, non quella dei convegni sulla resilienza.


*di Alessio Ludovici