31 Mag 19

MAXXI, l’appello che non fa discutere

L’appello al ministro dei beni culturali Alberto Bonisoli, per revocare il protocollo d’intesa sottoscritto nel 2016 dal Mibac con la Fondazione MAXXI, per l’apertura a Palazzo Ardinghelli di un Centro di arti e creatività contemporanea, è ‘n’aquilanata che non fa neanche discutere.
Non è nato un dibattito, non una critica, non un sostegno: non è nato nulla.
Non ha generato un’emozione una, un moto d’orgoglio, un semplice moto, un movimento del sopracciglio. Nada, c’è scivolato addosso.
Promosso da alcune avanguardie del secolo scorso, l’appello rivendica i diritti del territorio, dunque la legittima gestione di risorse e convenzioni, da attivare con il Polo museale d’Abruzzo a cui dare la struttura, così da impastare cultura e battere cassa a Roma, di diritto, una volta l’anno.
Dimentichiamo in fretta che c’è già la quota parte del 4% dei fondi della ricostruzione dedicata alla ripresa culturale, non è detto che il MAXXI vada bene con gli incassi, ma se non altro, incanalerebbe il futuro Centro in un qualche circuito internazionale di turismo utile, inserendo L’Aquila tra le mete da visitare e non solo per ricapare una maceria qua e là.
Una trovata bruta, fatta solo per tagliarsi la propria fettina di risorse da ingurgitare a pioggia, per poi tirare a campare nell’amarcord collettivo di avanguardie ormai sbiadite, ripiombando l’aspettativa in un circuito artistico vero, nella desolazione della provincia italiana.
Bella per l’aria buona ma da continuare a respirare in pochi.
E’ gente che non riesce ad appizzare e ci riprova con il sostegno sotterraneo di ambienti ministeriali, in loco, ai quali evidentemente proprio non va giù dover lasciare il sostegno finanziario alla Fondazione della Melandri.
Che vuoi non vuoi, passato Navelli, almeno sanno chi è.
Li avessimo visti sbraitare con vigore per essere coinvolti nella rete Unesco delle Città creative, come Fabriano, che tra poco ospiterà una mostra virtuale su L’Aquila in un padiglione dedicato alle città distrutte che rinascono dai terremoti come dalle guerre e si confrontano nei meeting mondiali scambiando pratiche virtuose di ripresa socio economica e culturale.
Roba che peraltro funziona.