05 Mar 19

Sciopero 8 marzo, donne e gap salariali

In occasione dello sciopero generale proclamato per l’8 marzo, in risposta all’appello del movimento Non Una Di Meno, l’Unione sindacale di base, Usb, pubblica Donne sull’orlo di una crisi di numeri, studio sulla disuguaglianza di genere nel mondo del lavoro.
Una disuguaglianza che ha la punta dell’iceberg nel gap salariale, scrive in una nota stampa Usb, nel lavoro dipendente le donne sono pagate il 23% in meno rispetto agli uomini, percentuale che sale al 29% per il lavoro autonomo e al 38,5% tra le lavoratrici più istruite.
Alle condizioni attuali, il gap salariale sarà colmato nel 2236!
Tutto questo accade in un mercato del lavoro in cui l’occupazione femminile è al 49,5%, contro il 68,5% di quella maschile, nonostante siano più istruite degli uomini, 63% le diplomate, 58,8% i diplomati.
La disoccupazione femminile è al 10,4%, contro l’8,4%, numero che potrebbe sembrare relativamente basso, se non fosse che le donne, soprattutto le giovani (15-24 anni), scivolano rapidamente dalla disoccupazione all’inattività.
Questa, a fine 2018, raggiungeva il 44,8%, 25% per gli uomini.
Le donne vantano anche un altro primato: in un anno totalizzano 50,6 miliardi di ore di lavoro non retribuito, quello cioè che contribuisce alla produzione familiare, il lavoro retribuito dell’intera popolazione italiana totalizza 41,7 miliardi di ore l’anno.
Ogni casalinga lavora gratis 2.539 ore l’anno, contro le 1.507 ore delle occupate e le 826 degli uomini, occupati e non.
È solo un piccolo estratto dello studio. Sono numeri impietosi e devastanti, spiega ancora l’Usb, che testimoniano quanto sia ancora lunga la lotta per l’uguaglianza. Una battaglia che va trasferita dalla sfera morale umanitaria a quella politica, abbandonando una rappresentazione vittimistica stantia, le donne non sono soggetti fisiologicamente deboli, bisognose di protezione, ma persone discriminate e sfruttate.
Tanto più oggi, quando si vorrebbe fare delle donne lo strumento per l’abbassamento dei diritti e delle tutele, utili a una riformulazione del welfare già abbondantemente massacrato in una chiave familistica, che prevede il ritorno delle donne tra le mura domestiche, insiste l’Unione.
L’impronta pesantemente familistica che attraversa tutta la misura del reddito di cittadinanza nega ancora alle donne quel diritto all’autodeterminazione che deriva dalla disponibilità di risorse economiche individuali legandole così, con doppio laccio, a quel partner che può coincidere con un soggetto maltrattante.
Quota 100, dal canto suo, ci restituisce quell’asimmetria di opportunità che il mercato del lavoro riserva alle donne e agli uomini, conclude l’Unione sindacale di base.