09 Mar 20

Tocca a noi, fuori dagli ospedali…

L’abitudine al dolore è dentro il destino. Era il titolo di un articolo di Vittorio Zucconi all’indomani dello tsunami in Giappone. La lotta contro il terremoto in Giappone, scriveva il giornalista scomparso l’anno scorso, si combatte con le piccole armi dell’organizzazione collettiva, non perché possa mai essere vinta, ma perché è la vita che è stata data da vivere. Un fatto d’onore dovuto alla certezza della fine del mondo sotto i piedi, con il terrore della vergogna, non della morte.

Il Covid 19 è così, è lo tsunami che sommergerà l’Italia nei prossimi giorni, le Codogno si moltiplicheranno, come i disagi, le vittime, i ricoverati, le quarantene, gli esercizi e le fabbriche costrette a chiudere per disattenzioni o superficialità loro o di qualcun altro. Esagero? Me lo si diceva anche un mese fa, due settimane fa, ancora ieri, ma ormai ci siamo dentro, è nell’aria, lo si sa ma non lo si dice chiaramente perché magari la speranza è che qualcosa migliori anche se non si sa come e perché. E’ uno tsunami, invisibile, ma che non guarderà in faccia a nessuno, agli ottimisti e ai pessimisti, a chi se ne frega e a chi no, agli anziani e anche ai giovani che vivranno in un paese distopico, fragile, fragile per loro stessi. Gli ospedali saranno tutti pieni, a breve tante patologie, che riguardano anche molti giovani, non saranno più curabili, già sta succedendo in questo momento, visite, interventi, persino cure oncologiche sono ferme o si stanno fermando in molte aree del paese. E’ una guerra, è più chiaro così?

L’economia peggiorerà e non per colpa di un decreto o di una zona rossa ma per colpa del virus e dei danni che farà se non facciamo niente, se sottovalutiamo, se ognuno di noi non diventa un ingranaggio perfetto del sistema immunitario collettivo contro lo tsunami. Ma a differenza dei terremoti, degli tsunami, delle guerre degli eserciti, questa volta abbiamo una certezza, passato lo tsunami le nostre case saranno in piedi, le strade percorribili, le scuole pronte per ripartire, dipende solo da noi quando vogliamo che arrivi questo momento, se tra qualche settimana o tra qualche mese quando sarà ormai troppo tardi.

Non ci si esercita, continuava sempre Zucconi, perché davvero possano esistere manovre protettive contro una muraglia d’acqua alta tre piani, dieci metri, che avanza verso l’interno alla velocità di un treno, ma perché nell’esercitazione e nella preparazione si celebra il rito propiziatorio della sopravvivenza e della cultura collettiva.

E’ questo il nostro destino ora, verso il quale vanno concentrate le energie di tutti noi.

Il virus badate bene è diverso da un terremoto o da uno tsunami, è come le sabbie mobili, più ci si agita e più si finisce in fondo, serve calma e determinazione, esige innanzitutto che sia quasi azzerato il respiro del paese, delle città, dei luoghi di lavoro e di vita sociale. Dobbiamo organizzarci collettivamente senza contagiarci a vicenda, è un dovere di tutti.

A Spazio Praxis gli studenti dell’Udu si coordinano digitalmente, cercano di far fronte alle varie piccole emergenze dell’ateneo, chi può entrare a mensa? come? I bar, come quello del Corso, offrono anche un servizio domicilio. Molti studi lavorano da casa. Alcuni psicologi lavorano in chat. Ma non basta, bisogna fare di più perché nei prossimi giorni tutta l’Italia sarà Codogno o Bergamo, Piacenza, Treviso, Vo’ Euganeo e tutte le altre. Dobbiamo fare tutti di più. Gli uffici pubblici chiedano di alternarsi in servizio derogando alle ferie. I titolari delle aziende private anche, ed evitino di costringere al lavoro tutti, anche chi sta raffreddato o è a rischio di contatti. Si sanifichi periodicamente tutto, condomini, automobili, abitazioni private. Dobbiamo essere in servizio H24, esattamente come i medici, gli infermieri e i tecnici dei nostri ospedali, e a differenza loro noi che possiamo evitando contatti inutili.

Tocca soprattutto alle categorie non a rischio fare qualcosa, evitare contatti per non diventare un peso e finire in quarantena, organizzarsi per fare la spesa per più nuclei familiari, portare il fratellino a fare una passeggiata, siamo noi che dobbiamo fare i sacrifici non le categorie a rischio. Non esiste un’alternativa su chi sacrificare, tra virus ed economia, tra anziani e giovani, tra nord e sud, solo insieme ce la facciamo.

Laviamoci le mani, sempre, quando rientriamo e dopo aver toccato qualcosa e anzi meno cose tocchiamo in giro e meglio è, questo è il punto. Non c’è un altro modo, sono inutili i decreti contro le pacche sulle spalle, hanno il solo scopo di mettervi in allerta, come inutili sono le attese per farmaci miracolosi pronti in pochi giorni, come inutile l’idea che un qualche uomo forte da solo e al posto nostro, e mentre facciamo i quarantenaparty, possa risolvere la situazione. C’è un’unica alternativa, ora, davanti a noi e non è quella di essere un paese peggiore, ma quella di diventare un paese migliore.


*di Alessio Ludovici